Mio fratello che parla con gli alberi by Alberto Milazzo

Mio fratello che parla con gli alberi by Alberto Milazzo

autore:Alberto Milazzo [Milazzo, Alberto]
La lingua: ita
Format: epub
editore: emons
pubblicato: 2024-10-03T23:00:00+00:00


9. Le oche inglesi

«Correte alla Villa degli Inglesi. Fate presto!»

Era il consiglio che il Cugino del Garibaldi aveva dato a mio fratello, o almeno così ci disse.

Informata da Tommaso dell’urgenza, la Banda dell’Orto aveva accelerato il passo. Lasciata la zona della Cala, noi ragazzi eravamo sfilati sotto gli sguardi dei leoni del Teatro Massimo. Le due enormi e sonnacchiose bestie di bronzo ci videro rubare dei cremini confezionati da un furgoncino dei gelati incustodito.

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«Lasciamo dei soldi».

«Ma va! Non c’è nessuno, non lo vedi? Neanche se ne accorgeranno che gli mancano cinque cremini».

Ben altro avevano visto i gattoni gemelli per darsi pena di ruggire dall’alto dei loro piedistalli, denunciando il furto. E continuarono a sbadigliare.

Al primo morso, però, era ricomparso il gelataio che s’era messo a urlare e allora via, come matti. Una corsa col fiato in gola fin sotto al muso dei quattro cavalli rampanti del Teatro Politeama. Poi, una volta seminatolo, riprendendo fiato, la Banda infilò via Dante. Quanto ridere e che paura quel gelataio che pareva una montagna. Poco male, l’albero non aveva forse detto che bisognava sbrigarsi a raggiungere la Villa degli Inglesi? Per mio fratello non c’erano dubbi, la prossima tappa era il giardino di Villa Malfitano Whitaker. Lì tutto sarebbe stato più chiaro.

Bisogna sapere che secondo Tommaso, e secondo molti botanici professionisti in verità, le piante hanno orecchie, occhi e perfino bocche. Vedono e ascoltano tutto e si parlano fra di loro. Se volete tenere un segreto, non vuotate il sacco vicino a un albero, la notizia in capo a un’ora avrà già fatto il giro del pianeta. Tenetelo a mente, o non capirete perché fummo spediti fino lì.

Insomma, Tommaso trottava come da indicazioni del Cugino del Garibaldi, certo che bisognava far presto, e noi faticavamo a tenergli dietro.

«Ragazzi, ho fame. Ho tanta tanta fame. Non abbiamo fatto altro che guardare alberi e piante; io ancora un po’ e me le mangio, mi metto a masticare foglie come fanno le giraffe». Jo era spesso preda di incontenibili attacchi di fame.

«Non ti è bastato il cremino? Dai, che ti fa bene camminare». Pao scimmiottò un adulto: «Se non fai esercizio e continui a mangiare schifezze davanti ai videogiochi, metterai tanto di quel grasso che non riuscirai più a muoverti».Non gliene lasciava passare mezza. In verità, non si risparmiavano frecciatine a vicenda, ma era il loro modo di volersi bene.

«Io non sono grasso, solo che al momento sono sotto la mia altezza forma».

Lele rise a quella battuta di Jo, e a me sembrò bellissima.

«Non esiste l’altezza forma, solo il peso forma. E tu, be’… mettiamola così, Jo, io sono alto il doppio di te e pesiamo uguali».

«Sì, ma a me pesa il cervello, a te il culo».

Ci mettemmo a ridere a crepapelle. Pao compreso, che non si aspettava un’uscita del genere.

«Oh, insomma. Fermiamoci. Ragazzi, dobbiamo mettere qualcosa nel sacco. Non lo sapete? Secondo un antico detto cinese, mangiare è uno dei quattro piaceri della vita».

«E quali sono gli altri tre?» chiese laconica Lele.

«Proverbio cinese dice che nessuno l’ha mai saputo».



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